Il  Governo  della Repubblica italiana, in persona del Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale  dello  Stato  e  presso  la stessa dom. to in Roma, via dei
Portoghesi n. 12.
    Propone  impugnativa  per  illegittimita' costituzionale ai sensi
dell'art. 127 della Costituzione;
    Contro  la Regione Puglia, in persona del presidente della giunta
pro tempore della legge regionale n. 15 del 25 agosto 2003 pubblicata
nel B.U.R. n. 99 del 29 agosto 2003 recante: Modifica legge regionale
13  agosto 1998, n. 27. Norme per la protezione della fauna selvatica
omeoterma  per la tutela e la programmazione delle risorse faunistico
ambientali e per la regolamentazione dell'attivita' venatoria in base
ai seguenti

                             M o t i v i

    Con  la  legge  n. 15/2003 la regione Puglia modifica un articolo
della propria disciplina organica della caccia, dando la possibilita'
di  effettuare il prelievo venatorio nel territorio regionale fino ad
un'ora  dopo il tramonto, oltre che nei confronti della gia' prevista
categoria  degli ungulati anche per gli acquatici, ad apportamento in
prossimita' di masse d'acqua stagnanti o correnti.
    Tale  disposizione  eccede l'ambito delle competenze regionali ed
e' censurabile in base ai seguenti motivi.
    La  regione  Puglia  lede il riparto costituzionale di competenze
legislative  come disciplinato nel riformato titolo V, in particolare
compromettendo  la  competenza  esclusiva  dello  Stato in materia di
tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema e dei beni culturali, secondo
il  dettato  della  lettera  s),  comma  secondo, dell'art. 117 della
Costituzione.
    Secondo  una  consolidata  giurisprudenza  di codesta Corte, gia'
prima  della  riforma  del  titolo  V  della  Costituzione, la tutela
dell'ambiente  aveva  assunto  una sua autonoma rilevanza come ambito
materiale  di  interessi unitari in grado di vincolare il legislatore
regionale,  tanto  ordinario  che  speciale,  nelle  materie  di  sua
competenza  ripartita  e/o  primaria, attraverso il funzionamento dei
limiti  dei  principi  fondamentali  delle  leggi dello Stato e delle
norme   delle   grandi   riforme  economico  sociali.  La  percezione
dell'esistenza di un bene ambiente unitario e infrazionabile spingeva
la  Corte  a  sottrarre  la  sua  disciplina  giuridica  a interventi
settoriali  (cfr.  Corte  cost.  n. 356  del 1994) e a salvaguardarlo
nella sua piena interezza (cfr. Corte cost. n. 67 del 1992).
    Piu'  recentemente, e in periodo successivo all'entrata in vigore
della  riforma  del  tit.  V,  la Corte ha avuto occasione di tornare
sull'argomento,  arricchendo  la  nozione di ambiente come risultante
dalla  precedente  giurisprudenza.  Con  la sentenza n. 407 del 2002.
Essa  ha  precisato che «l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza
costituzionale  portano  ad  escludere  che  possa  identificarsi una
"materia"    in    senso    tecnico,   qualificabile   come   "tutela
dell'ambiente",  dal  momento che non sembra configurabile come sfera
di   competenza  statale  rigorosamente  circoscritta  e  delimitata,
giacche', al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente
con   altri   interessi   e   competenze.   In   particolare,   dalla
giurisprudenza  della  Corte  antecedente alla nuova formulazione del
Titolo  V  della  Costituzione e' agevole ricavare una configurazione
dell'ambiente  come  "valore"  costituzionalmente  protetto,  che, in
quanto tale, delinea una sorta di materia trasversale, in ordine alla
quale  si  manifestano  competenze  diverse,  che  ben possono essere
regionali,  spettando  allo Stato le determinazioni che rispondono ad
esigenze meritevoli di disciplina uniforme all'interno del territorio
nazionale».
    Con  ancora  maggiore  chiarezza  codesta  Corte in una pronuncia
ancora  piu'  vicina  nel  tempo, nel richiamarsi esplicitamente alla
suddetta sentenza, precisa che proprio in funzione dell'ambiente come
valore  costituzionale  lo  Stato  "puo'  dettare standards di tutela
uniformi  sull'intero  territorio  nazionale  anche  incidenti  sulle
competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione». Ed,
inoltre, che l'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione
«esprime  un'esigenza  unitaria  per  cio'  che  concerne  la  tutela
dell'ambiente  e dell'ecosistema, ponendo un limite agli interventi a
livello  regionale che possano pregiudicare gli equilibri ambientali»
(Corte cost. n. 536/2002).
    La considerazione unitaria e trasversale che viene ad assumere il
valore   ambiente   alla   luce  della  piu'  recente  giurisprudenza
costituzionale,  consente,  dunque,  di  affermare  che,  laddove sia
rilevabile  l'emersione  di  tale  valore, e' sempre possibile per lo
Stato intervenire con legge allo scopo di garantire la sussistenza di
quegli  standard  di  tutela  uniforme  senza  i  quali «l'equilibrio
ambientale» non sarebbe garantito in maniera unitaria e soddisfacente
su  tutto  il  territorio  nazionale, al di la' dell'ambito materiale
della disciplina in cui tale intervento si concreta. E questo proprio
in  virtu'  della competenza esclusiva che l'art. 117, comma secondo,
lettera s), attribuisce allo Stato.
    Da  queste  premesse si ricava che ove si renda necessario per le
ragioni  anzidette  un  intervento uniforme dello Stato a garanzia di
standard  minimi  ambientali, questo intervento puo' giungere anche a
lambire  le  materie,  non enumerate dalla Costituzione, che ricadono
nella  competenza  esclusiva delle regioni ex art. 117, comma quarto,
restringendone  la  portata  e  sottraendo ad esse quegli oggetti che
piu'  propriamente  si devono far rientrare all'interno della materia
valore ambiente.
    La  stessa materia «caccia» che, dopo la riforma del tit. V, puo'
farsi rientrare pacificamente nella competenza residuale ed esclusiva
delle  regioni  ordinarie  ex  art. 117, comma quarto, e' stata fatta
oggetto  da  codesta Corte di una interpretazione evolutiva che tenga
conto  di  «una  moderna  e sempre piu' ampia concezione», secondo la
quale   «per   caccia   non  possa  intendersi  soltanto  l'attivita'
concernente l'abbattimento di animali selvatici, bensi' anche quella,
congiuntamente  diretta  alla  protezione dell'ambiente naturale e di
ogni  forma  di  vita,  a  cui  viene subordinata qualsiasi attivita'
sportiva» (Corte cost. n. 63/1990).
    Se  pero',  nella  vigenza  delle  norme  ante riforma, la tutela
ambientale  all'interno dell'ambito caccia poteva essere fatta valere
dalla Corte identificando tale tutela nei principi fondamentali delle
leggi  dello  Stato con riguardo alle regioni ordinarie e nelle norme
delle  grandi  riforme economico sociali con riferimento alle regioni
ad  autonomia  speciale,  oggi tale tutela, per le regioni ordinarie,
non  passa piu' attraverso il vincolo dei principi fondamentali delle
leggi  cornice  in  materia,  bensi'  attraverso  l'individuazione di
quegli  standard  uniformi direttamente riconducibili alla competenza
esclusiva  dello  Stato  in  materia  di  tutela  di  ambiente  e  di
ecosistema   ex   art.   117,   comma   secondo,  lettera  s),  della
Costituzione.
    La  legge  febbraio 1992, n. 157 recante «Norme per la protezione
della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il  prelievo  venatorio»,
recependo  e dando attuazione integrale alle direttive 79/409/CEE del
Consiglio  del  2  aprile  1979, 85/41 I/CEE della Commissione del 25
luglio  1985  e  91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i
relativi   allegati,   concernenti  la  conservazione  degli  uccelli
selvatici,  e  alle  Convenzioni  di  Parigi del 18 ottobre 1950 e di
Berna  del 19 settembre 1979, rispettivamente per la protezione degli
uccelli  e  per  la  conservazione  della  vita  selvatica e dei suoi
biotipi  in  Europa,  ha  dettato  una  disciplina  quadro di livello
nazionale contenente principi fondamentali.
    Una  giurisprudenza  costituzionale  consolidata,  gia'  da prima
della riforma del tit. V, ha individuato all'interno della piu' ampia
materia  «caccia» ambiti materiali di tutela della fauna selvatica e,
quindi,  dell'ambiente come valore. In particolare si e' rilevato che
la  suddetta  tutela  non si arresta alla individuazione da parte del
legislatore  statale delle «specie cacciabili», «specie» che per tale
ragione  non  possono  essere  derogate  dalle  leggi  regionali,  ma
«implica  [... 1  che  tale  carattere  sia proprio anche delle norme
strettamente  connesse con quelle che individuano le specie ammesse».
Questa  disciplina  statale  vincola  le regioni ordinarie e speciali
nonche'  le  province  autonome «nella parte in cui delinea il nucleo
minimo   di  salvaguardia  della  fauna  selvatica,  nel  quale  deve
includersi,  accanto  alla  elencazione  delle  specie cacciabili, la
disciplina  delle  modalita'  di  caccia,  nei  limiti in cui prevede
misure   indispensabili   per   assicurare   la  sopravvivenza  e  la
riproduzione  delle  specie  cacciabili.  Al novero di tali misure va
ascritta  la  disciplina  che, «anche in funzione di adeguamento agli
obblighi  comunitari,  delimita  il  periodo  venatorio» (Corte cost.
n. 323/1998).   La   legge   statale   n. 157   del  1992,  pertanto,
interpretata  evolutivamente  da codesta Corte, conteneva, gia' prima
dell'entrata  in vigore della riforma del Tit. V, un nucleo minimo di
salvaguardia della fauna selvatica, che andava dall'elencazione delle
specie  cacciabili  ad  ogni  altro  profilo di disciplina contenente
misure  da  ritenersi  «indispensabili»  al  fine  di  assicurare  la
sopravvivenza  e  la riproduzione delle specie selvatiche. Tra queste
misure   codesta   Corte  individuava,  quale  oggetto  specifico  di
protezione  uniforme, quelle rivolte alla fissazione di un periodo di
tempo  entro  cui esercitare l'attivita' venatoria, anche in funzione
dell'attuazione  del  diritto  comunitario  che  la  stessa  legge si
preoccupava di realizzare.
    Con  la riforma del tit. V queste esigenze di tutela unitaria, in
materia   ambientale   e   di  ecosistema,  hanno  trovato  esplicito
riconoscimento  nella  competenza  esclusiva dello Stato ex art. 117,
comma secondo, lett. s), della Costituzione.
    Con  la  sentenza  536 del 2002, sopra richiamata, codesta Corte,
affrontando  un  caso analogo a quello in esame, ha inoltre precisato
che  «la  delimitazione  temporale  del  prelievo  venatorio disposta
dall'art. 18  della legge n. 157 del 1992 e' rivolta ad assicurare la
sopravvivenza  e  la  riproduzione delle specie cacciabili e risponde
all'esigenza  di  tutela  dell'ambiente  e dell'ecosistema per il cui
soddisfacimento   l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  ritiene
necessario  l'intervento  in via esclusiva della potesta' legislativa
statale».